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Domenica, 28 Maggio 2023

 

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Mario Di Prima, un poliziotto come tanti, un sovrintendente della Polizia di Stato, in forza presso la Questura di Enna. Ci ha raccontato, con umiltà, una storia che è un po diversa dalle altre per i contenuti e per le sensazioni personali che ne sono scaturite, importante per   non far perdere,alle nuove generazioni, la memoria di quanto accadde quasi trentuno anni fa in quel di Palermo. Le stragi di Capaci e Via D’Amelio, dove persero la vita, giudici e poliziotti “come agnelli condotti al macello”  la cui unica colpa fu  di servire lo Stato. Uno Stato, quello italiano, che ancora a tutt’oggi, non vuole dire la verità su come andarono veramente le cose in quel periodo. Uno Stato che fu ed è ancora latitante perché chi lo rappresenta a tutti i livelli, ancora si ostina a voler tenere nascoste tutte quelle verità e tutte quelle “agende rosse” che esprimono la metafora di una mafia che non è stata soltanto militare ma è stata ed è politica, nascondendosi oggi, dietro i colletti bianchi e le cravatte, macchiate del sangue dei martiri.

In quel periodo furono per le forze dell’ordine, giorni di enorme tensione. La Polizia molto tesa effettuava perquisizione dappertutto e i funzionari comandavano agli agenti di fare del proprio meglio nell’effettuare continue perquisizioni: “Rivoltate tutto ciò che trovate” era l’ordine.

Oggi Mario Di Prima, fa parte della Squadra Mobile della Questura di Enna, dove noi l’abbiamo incontrato una volta dopo un’operazione antidroga. Non ci conoscevamo ma ci siamo subito stretti la mano cordialmente e da allora abbiamo fatto amicizia. Ed oggi davanti a quel caffè consumato al bar, ci ha raccontato  i giorni che seguirono a Via D’Amelio, il funerale del giudice Borsellino e degli uomini della scorta. Così abbiamo preso la penna e il taccuino e abbiamo annotato:

“Ricordo bene quando  33 anni fa frequentavo il corso di Allievo Agente Ausiliario a Palermo, un giorno mentre mi trovavo seduto in mensa a pranzare consumando il mio ormai quotidiano piatto di riso in bianco, entrò una piccola donna in divisa con i capelli rossi e un viso spaurito ma pieno di graziose lentiggini che le ricoprivano il viso. Era Emanuela Loi. Aveva terminato il giorno prima il previsto corso di Agente e l'avevano trasferita subito a Palermo.

Lei si sedette vicino a me e dopo un momento di titubanza e un probabile stato di disagio  incomincio a raccontarmi della sua vita e come proprio non si aspettava quel trasferimento a Palermo, non si dava pace per tale destinazione . Era fermamente convinta che l'avrebbero mandata a Genova  dove lavorava il fidanzato e dove con lui avevano progettato ben altro futuro.

Voleva subito buttare la spugna e dimettersi, immediatamente, giornata. Cercai di calmarla e dissuaderla da ogni decisione avventata. Provamario di prima, le dissi, vedi come va' e se non dovesse andare bene puoi sempre fare quanto dici. Sicuramente , con calma il tempo le avrebbe portato buoni consigli.

Il dialogo prosegui per un po' e lei dopo essersi calmata e ragionato sopra mi comunico che avrebbe provato  a seguire quanto da me consigliato. Dopo i saluti e gli auguri di rito le strinsi la mano e lei dopo un lungo sospiro prese le valigie uscì dalla mensa e si diresse all'ufficio matricola per essere presa in forza.

Quella fu la prima e l'ultima volta che vidi viva  Emanuela Loi”.

Un ' altro episodio racconta, il poliziotto e si riferisce ai funerali di Stato:: correva l'anno 1992 caldo estivo opprimente e la Cattedrale di Palermo accoglieva i feretri e i parenti delle vittime con le più alte cariche dello stato e sopratutto i poliziotti.

Io in divisa con tanti altri miei colleghi ero fuori a ridosso dell'entrata principale della cattedrale, dove erano state posizionate le transenne che non permettevano a nessuna persona autorizzata l'ingresso. Ad un tratto ci comunicarono di stare all'erta in quanto un nutrito corteo di manifestanti si stava dirigendo verso di noi con fare minaccioso.

Da lontano si sentivano urla e imprecazioni nonché il rumore di una folla che si avvicinava velocemente.

Noi giovani agenti con solo un paio di anni di servizio alle spalle di li a breve ci accorgemmo che quei manifestanti non erano altro che i nostri colleghi in servizio presso l'ufficio scorte i quali sensibilmente scossi dalle due stragi, esprimevano il loro dolore la rabbia e il dissenso a tutta la comunità.

Una cosa mi è rimasta in maniera indelebile di questa strage  che mi accompagna tutte le volte che mi porto nel capoluogo siciliano, mi ritorna subito in mente quell'odore nauseabondo del sangue dei nostri fratelli riversato sulla ringhiera in via D' Amelio .,

Oggi Mario nella vita privata è impegnato nel sociale ed è il capo scout del MASCI (movimento scout cattolici italiani)  collaborando nella parrocchia di San Bartolomeo, presieduta da don Sebastiano Rossignolo, qui offre il suo servizio per i più bisognosi (con la gestione del banco alimentare) nonché a trasmettere esperienza e valori ai nostri giovani, cercando di spiegare loro che non bisogna dimenticare quegli anni e quegli attimi in cui uomini normali offrirono la loro vita per un mondo migliore, spronandoli a sognare sempre e fare affiorare in loro il senso sopito della famiglia e della comunità.

Mario Pagaria

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